Il culto talmente profondo e radicato da essere candidato come bene immateriale dell’umanità. La decisione delle autorità religiose e politiche della città nella giornata di Sabato 26 novembre, al museo diocesano di Napoli
In pochi posti al mondo esiste un culto così devozionale e partecipato come quello della città di Napoli verso il suo Santo Patrono (uno tra tanti), tanto da aver persino stipulato un accordo con il Martire, con tanto di contratto di un notaio, intorno al 1600’.
Ma la devozione non conosce limiti, infatti l’amore e il legame legati al Santo sono stati presentati come candidatura per diventare patrimonio immateriale dell’Umanità, presso l’Unesco.
La candidatura dovrà passare prima un esame presso il ministero della Cultura, che riceve candidature da tutte le Regioni, e poi decide quale mandare all’Unesco. Non è quindi confermata ufficialmente la candidatura, ma è un forte segnale significativo di quanto il patrono di Napoli sia profondamente intrecciato con l’identità stessa della città, cosa che ha pochi eguali in Italia e forse nel mondo.
Sebbene, come detto in precedenza, esitino altri Santi patroni in città e altri legami culturali radicati tra altre città italiane e il loro Patrono, solo a Napoli questo legame è diventato attivamente collettivo e assume tratti anche mistici. Celebre è il famoso “miracolo della liquefazione” che si ripete, presso il duomo di Napoli, 3 volte all’anno, la più seguita, quella del 19 Settembre, giorno della festa del Santo. Migliaia sono le persone che assistono al prodigio, e partecipano alla seguente processione. La figura di San Gennaro a Napoli è quasi vista come paritaria, molto confidenziale: per una persona estremamente credente a Napoli, è normale fare appello alla sua figura, come una presenza costante per venire in soccorso, come spesso, veniva ironicamente parlando, negli sketch della “Smorfia”.
La storia del Santo ha origini molto antiche, non si sa molto sulla sua vita, a causa di scarsità di documenti, e molte delle cose che si sanno sono state tramandate oralmente. La leggenda però più comune racconta: “che nacque nel III secolo dopo Cristo e divenne Vescovo di Benevento in un’epoca in cui erano ancora in vigore le persecuzioni contro i cristiani. A causa delle sue attività, fu condannato a morte. Qui, secondo i fedeli avvenne il primo miracolo, ovvero, una volta portato nell’anfiteatro di Pozzuoli per essere sbranato dalle belve, quest’ultime si fermarono dopo la sua benedizione. I giudici allora decisero di decapitarlo. La leggenda narra che una donna, Eusebia, raccolse il sangue in delle ampolle incontrò il Vescovo Cosimo (o Saverio), che veniva dal luogo di sepoltura di San Gennaro, dove aveva trafugato la testa per portarla a Napoli dove si sostiene che siano appunta le ossa del Santo, insieme al suo sangue”.
Tante sono le versioni della leggenda, non si può dire quale sia quella più accreditata o meno, quello che conta è come sia entrato nell’immaginario e nell’identità di un’intera popolazione, non solo di fedeli, ma anche, in un certo senso, di non praticanti.
Fede e folclore quasi si uniscono nel definire il prodigio che avviene con ovviamente anche varie spiegazioni scientifiche che negli anni sono state fatte, ma mai compiute analisi sul liquido delle due ampolline.
Oltre però le motivazioni religiose, l’intensità del culto è anche antropologica, ha a che fare con un tratto dell’identità di Napoli: il votarsi a una entità superiore e la propensione dei cittadini nel costruire miti e leggende, anche con personaggi stranieri, come per esempio il calciatore Diego Armando Maradona, tanto da farlo diventare una sorta di culto sportivo laico.
La figura del Santo è molto radicata nel DNA cittadino, visto come protettore dalla furia del Vesuvio e di buon augurio se il sangue di scoglie, cattivo presagio se invece non accade. Ogni cittadino è come si interpretasse quel gesto come un segno una prova che il Santo esiste, ed è al nostro fianco, un rito che rafforza le identità e la devozione verso la sua figura, un simbolo che, citando l’attore Beppe Barra è “geografico” ma anche simbolico della città e dei cittadini stessi.
Ed è forse per questo motivo che ci si è spinti così tanto da presentare la devozione al santo come bene immateriale dell’umanità.