Dal 9 al 14 Dicembre nella Sala Tre del Teatro Franco Parenti va in scena L’Albero, scritto e diretto da Giulia Lombezzi, giovane drammaturga e regista milanese
Una storia intima e universale, nata dall’urgenza personale di interrogarsi sull’invecchiamento, sulla fragilità e sul delicato equilibrio delle relazioni familiari.
L’Albero racconta gli ultimi istanti di una vita ordinaria: quelli di Anna, ospite in una casa di riposo, racconta di sua figlia Marcella e di Martino, un giovane OSS. Una narrazione tragicomica che attraversa le contraddizioni del caregiving, il dolore dell’alienazione e la difficoltà – spesso taciuta – di “dare in affido” un genitore. Al centro della regia, il lavoro fisico attorno a una lunga veste bianca, simbolo mutevole di cura, contenimento e smarrimento.
Ho scritto questa storia perché ho paura di invecchiare. Mi trovo spesso a chiedermi quando una persona viene definitivamente classificata come “anziana”, quali siano le avvisaglie e cosa questo comporti, per la persona stessa e per chi le sta intorno. Mia madre una volta mi ha detto: “Quando in casa compare il termine cataratta, vuol dire che i tuoi genitori sono diventati anziani”. L’albero racconta la fine di una vita ordinaria, selezionando alcuni istanti del quotidiano di Anna, ospite in una casa di riposo, di sua figlia Marcella e di Martino, un giovane OSS. L’albero parla della difficoltà di “dare in affido” un anziano, delle contraddizioni del caregiving e soprattutto del dolore dell’anziano stesso, legato all’alienazione e alla perdita di autonomia. Anna vive uno stato di smarrimento continuo, oscillando fra le ingiunzioni di una figlia- madre autoritaria e i vezzeggiativi di operatore zelante ma sconosciuto. L’Albero è la storia di mia nonna. Di come si dice addio a sé stessi. Di chi ogni giorno vede gente guastarsi e di chi non accetta che a guastarsi sia la propria famiglia. Sembra una storia molto triste, invece, come molte storie tristi, è decisamente tragicomica.
Giulia Lombezzi
Note di regia
L’immagine di partenza è una veste bianca. Una lunghissima veste bianca, quella di Anna, che diventa letto, contenzione, fasciatura da neonato, vasca da bagno e ali. Una veste che racconta l’essere fisicamente in balìa, il venire spinti e tirati, il trovarsi improvvisamente privi di poteri decisionali sulla propria giornata, sul proprio corpo. Una veste che può accogliere, trattenere, o servire a celarsi per un po’ da un mondo perentorio e incomprensibile. In sala prove, il lavoro con l’abito e con le sue molteplici possibilità dinamiche è in primo piano, e la drammaturgia viene dopo, al servizio del movimento. Il gioco attoriale del tenersi, nascondersi, fasciarsi e costringersi è il cuore di tutta la storia, l’emblema dei legami che costituiscono una famiglia, l’insieme delle maniere in cui dipendiamo gli uni dagli altri e ci teniamo stretti, nel senso buono e anche in quello cattivo.
Orari
martedì – 20:15
mercoledì – 20:15
giovedì – 20:30
venerdì – 19:00
sabato – 19:00
domenica – 16:30
Prezzi
intero 22€;
under30 16€; convenzioni 17€
Tutti i prezzi non includono i diritti di prevendita.

